I founder mission-driven: cosa sono e perché sono così rari
Sono forse il miglior esempio di persone in grado di portare a casa il risultato in ogni situazione. Hanno diverse qualità rare, ma una spicca su tutte le altre.
Uno dei film che Luigi e io abbiamo visto almeno una decina di volte è “Chasing Mavericks”. Il film racconta la storia di un adolescente votato al surf che scoperta l’esistenza dell’onda di Mavericks, decide che vuole cavalcarla costi quel che costi. Mavericks è l’unica grande onda della California a nord di Half Moon Bay che nei periodi giusti — quelli delle grandi mareggiate — può raggiungere anche i 18 metri di altezza. È come essere in acqua mentre in palazzo di 5 piani vi insegue.
Il trailer ufficiale del film della 20th Century Fox parte con questa frase:
Have you ever felt that you are meant for something more? Something bigger than you?
Il film ci è sempre piaciuto per motivi ovvi:
Parla di surf
È girato a Santa Cruz, la zona della costa della California appena sotto Silicon Valley
È la metafora di quello che ci attrae del mondo delle startup: ragazzi e ragazze giovani, spesso misfit, che si lanciano alla ricerca dell’onda più grande, quella che pochi conoscono, per cavalcarla.
(Aggiunta di Irene: c’è Gerard Butler!)
Va da sé che se non l’avete visto, ora non potete esimervi 🤙 perché rende l’idea di quello che ci si aspetta da un fondatore e perché le persone che cerchiamo sono così rare.
Questi sono quelli che definiamo mission driven founder, persone non comuni che vengono guidate da passione, una volontà di ferro, un sogno-ossessione che nuotano in un “oceano” enorme — pieno di squali bianchi — e vogliono dominarlo.
Detta così sembra un po’ romanzata, ma, in effetti, chi si appresta a surfare l’onda di Mavericks deve fare più o meno quello che ho descritto:
Ora, il lavoro del founder e quello del venture capitalist non sono così pericolosi🦈 🤣 o adrenalinici, ma spero di aver reso l’idea. Non tutti i founder su cui un VC investe sono realmente “mission driven", anzi. Spesso sono “semplicemente” persone estremamente brave che hanno individuato un blind spot, seguono un’intuizione e con molta determinazione cavalcano una necessità acquisendo velocemente quote di mercato.
Pochi, anzi, pochissimi dei soggetti che raccolgono capitale possono veramente essere identificati come mission-driven. Non è che le loro aziende crescano sempre velocemente o siano sempre i cool kids in the room, anzi. Spesso sono quelli che devono faticare più degli altri e ci mettono magari anni a trovare l’angolo giusto, ma prima o poi… boom, le stelle si allineano e la loro azienda prende sempre più piede fino ad diventare inarrestabile.
Come riconosciamo i founder mission-driven?
Vediamo un po’ meglio chi sono per noi i founder di questo tipo.
Non stanno semplicemente creando una startup, ma la loro è una missione
Questo è chiaro. Non sono unicamente attirati dal successo, ma stanno cercando una missione nella vita, qualcosa che dia un senso al loro essere sul pianeta Terra. Per questo motivo, per persone di questo calibro, non sono mai i soldi il fine ultimo. Avendo una missione da compiere hanno sempre una preparazione superiore e non si accontentano mai di ciò che viene raccontato loro. Vogliono toccare con mano, imparare, estendendo le proprie competenze anche al di fuori della propria comfort zone. Questa domain expertise deriva dall’aver sentito il pain in prima persona rispetto al problema che stanno cercando di risolvere e questo scatena una call to action decisa ed efficace.
Guidano un progetto molto ambizioso
La visione è di quelle che possono veramente consentire un salto quantico ad interi settori, mercati e geografie. Sono spesso soluzioni a problemi che sono sotto gli occhi di tanti operatori del settore, ma spesso la complessità tecnica ed organizzativa estremamente elevata distoglie tanti dal provare a risolvere il problema. Spesso non vengono neppure visti o immaginati, infatti non sono i cosiddetti “esperti del settore” che tipicamente provocano questi quantum leap, come sottolinea Sebastian Mallaby nel libro “The Power Law”:
Experts may be the most likely source of incremental advances, but radical rethinks tend to come form outsiders.
Sono dei workaholic
Lavorano tanto, lavorano sempre. Per loro il lavoro non è lavoro, ma anche il loro hobby, quello per cui si svegliano ogni mattina. Quindi in realtà non sentono il peso di quello che stanno facendo.
Anche se spesso il termine workaholic — maniaci del lavoro — ha una connotazione negativa, nel loro caso è una questione di responsabilità, un dovere che sentono forte e fino in fondo. Questo li porta a fare bene quello che stanno facendo e non si fermano finché la loro missione non è compiuta.
Sono estremamente positivi
Questa è una caratteristica rara che non credo che si possa simulare — ma si può imparare a migliorare. Tutto quanto accade loro viene sempre filtrato da un sistema di valori e obiettivi che li proietta in un mondo dove esistono soluzioni per tutto. Dove gli intoppi sono un’occasione per dimostrare che esistono sempre delle vie. In questi casi un founding team di due persone aiuta, perché i founder si supportano e caricano a vicenda. Quando l’attitudine di uno non basta, allora arriva l’altro.
Sono consci che la loro missione, se non supportata dal mercato, sarà destinata a fallire
Qui sto parlando di “startup founder” con un’attitudine mission-driven. Il concetto quindi di change the world passa sempre dal mercato privato, che solitamente è la miglior cartina di tornasole per sapere se ciò che facciamo è utile al mondo. Un’attenzione maniacale a crescita e ricavi è quindi il primo passo. Senza questi due elementi non arriveremo mai a destinazione. Non posso sapere se sto crescendo abbastanza che non ho degli obiettivi misurabili nel viaggio ho intrapreso.
Sono sempre pronti a spostarsi dove serve per dare alla propria startup le miglior chance di successo possibile.
Questo sembra scontato, ma non lo è mai! Il fatto che oggi sia universalmente accettato che lavorare da remoto è OK, non deve mai diventare una scusa per non fare fatica pur di fare la cosa giusta. Queste decisioni non sono mai semplici, ma dentro di noi sono chiare fin dal primo giorno. Spostarsi per essere nel luogo migliore per raccogliere funding, sviluppare il network o raccogliere feedback. Oppure viaggiare senza alcun problema ogni volta che è bene farlo, scegliere l’ambiente giusto nel quale trovare più facilmente altre persone che comprendono e spingono ciò che facciamo. Tutto questo è difficile e non sempre naturale.
Sono laser-focused
In generale, quando stiamo creando una startup, non abbiamo tempo per quello che normalmente facevamo prima, come seguire i social, le news, gli hobby o gli amici. Quando però siamo un founder mission-driven ci spingiamo oltre: abbiamo la costante tensione a voler proteggere quello che facciamo da ogni possibile variazione al programma iniziale. Prima di cambiare direzione o aggiungere nuovi elementi al nostro piano di lavoro, vogliamo essere veramente certi che sia necessario per il successo del progetto. Questo non significa che non dobbiamo fare esperimenti o addirittura cambiare radicalmente rotta — con un pivot deciso —, ma piuttosto che una volta scelta una linea dobbiamo proteggerla da potenziali deragliamenti o detour.
Però manca qualcosa… 🤨
Non so bene perché, ma riflettendo sul concetto di mission-driven founder mi risulta in qualche modo difficile trasmetterne il tratto fondamentale. Tutto quello che ho spiegato è vero, ma in qualche modo non basta.
Ho quindi fatto un po’ di ricerca e sono arrivato alla conclusione che un founder che possa essere considerato mission-driven deve aver sviluppato nel corso della propria vita una forte empatia.
Queste persone cercano sempre di mettersi nei panni degli altri e in qualche modo riescono a perdere a tratti il proprio modo di vedere le cose per cercare di vederle con gli occhi degli altri — i clienti, i fornitori o i colleghi. E più danno spazio a questa capacità, tanto maggiore sarà l’effetto della serendipity nello loro storia.
Esiste quindi una linea sottile che unisce tra loro persone di questo calibro. L’empatia è infatti una qualità che si acquisisce attraverso frequenti bagni di umiltà ed il modo migliore per vivere in questo stato è di aver affrontato varie avversità e, di tanto in tanto, aver preso un po’ di… sberloni.
Se la vita continua a sorriderci il risultato netto è che avremo un ego smisurato e questo non ci rende dei buoni leader. Sono invece le cose che non vanno come abbiamo immaginato, sono i disastri che combiniamo seguendo unicamente il nostro punto di vista, le avversità della vita che ci insegnano a dare valore al mondo che ci circonda.
In qualche modo smettiamo di cercare il nostro bene per un bene più grande — il team, l’azienda, i clienti … la missione. Impariamo ad ascoltare prima di aprire bocca, siamo aperti ad apprendere da ciò che è esterno a noi e questo, nel tempo, ci rende dei grandi leader con una missione da compiere.
One more thing… Inauguriamo oggi una nuova rubrica qui sul Dojo…
Get a Job in Silicon Valley
Oggi abbiamo 52 company nel nostro portfolio che hanno bisogno di talenti 👨🏻🌾, anche da remoto. Quindi se avete un buon inglese e volete cogliere un’opportunità unica, date un’occhiata e applicate.
La settimana scorsa vi abbiamo pubblicato la ricerca di Daniele di Cloudthread, oggi vi proponiamo la posizione di FlutterFlow Advocate completamente da remoto.
Quindi, d’ora in poi, occhio al fondo di ogni articolo, perché potrebbe cambiarvi la vita.
Grazie Massimo, un altro ottimo contenuto e ottima iniziativa anche la diffusione delle opportunità di lavoro. In effetti, non sarebbe poi così male, nel frattempo del costruirsi la propria iniziativa, vivere l'ambiente di una startup vera dall'interno... anche se rendere questo compatibile con il proprio progetto potrebbe essere da supereroi!