I migliori acceleratori USA a confronto per tasso di exit e capitale raccolto
Se state scegliendo un acceleratore a cui applicare negli Stati Uniti vi consiglio di leggere attentamente cosa dicono i dati storici.
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Gli acceleratori americani hanno iniziato ad affollare la scena del mondo startup poco primo o poco dopo lo scoppio della bolla dot-com. Questo fenomeno è stato particolarmente evidente in alcune città come San Francisco, dove in poco tempo si è sviluppato un ecosistema di startup molto dinamico. Tuttavia, negli ultimi 10 anni almeno, questo trend si è diffuso anche oltre i confini statunitensi, come in Europa e in Asia. Molte città come Londra, Berlino e Tel Aviv hanno visto la nascita di acceleratori di successo che hanno aiutato a lanciare molte startup innovative. Questo ha portato a una maggiore competizione tra gli acceleratori e ha permesso alle startup di avere più opzioni per scegliere il miglior acceleratore per le loro esigenze.
L’esempio più famoso in questo settore è indubbiamente costituito da Y Combinator, fondato da Paul Graham, Jessica Livingstone, Trevor Blackwell e Robert Morris nel 2005.
Un report recente di PitchBook mette a confronto 5 acceleratori tra loro e cerca di trarne delle conclusioni. Dato l’interesse per moltissimi di voi, abbiamo deciso di fornirvi uno spaccato di questa analisi di mercato, farcita con qualche considerazione personale. I cinque acceleratori in questione sono:
Y Combinator, nata a Boston e trasferita in Silicon Valley dopo 6 mesi; oggi concentra la gran parte delle sue operation e tutti i programmi di accelerazione in Bay Area.
Techstars, nata a Boulder in Colorado ed estesa a diverse altre location dentro e fuori gli Stati Uniti nel corso del tempo.
500 Global nata come 500 Startups in Bay Area ha fin da subito guardato al mondo con programmi e fondi internazionali.
MassChallenge nata a Boston nel 2009 ha oggi sedi in diverse zone degli USA oltre in Israele, Messico e Svizzera.
SOSV nata nel 1995 e con un grosso focus nel mondo deep-tech, climate e heath, oggi ha espanso al sua azione a livello globale.
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Ognuno dei soggetti di questa analisi opera con un modello che affianca all’acceleratore uno più fondi di venture capital con i quali finanzia le iniziative ammesse ai programmi.
Anche gli acceleratori, come molto del mondo del venture multistage, ha cercato di rendere la propria proposition il più globale possibile. Tra i cinque acceleratori presi in considerazione dal report di PitchBook, sicuramente 500 Global - precedentemente conosciuto come 500 Startups - ha adottato l'approccio di rendere la propria proposta il più globale possibile fin dalla sua nascita. Questo è un elemento distintivo che fa di 500 Global un acceleratore unico nel suo genere. La sua capacità di essere globale fin dall'inizio ha permesso all'acceleratore di attrarre candidati provenienti da una vasta gamma di paesi e culture, aumentando la diversità del suo portafoglio di startup.
La domanda che ci poniamo da sempre e che non ha una vera e propria risposta definitiva è quanto ripaghi un approccio globale in quest’ambito. Il talento è importante, ma la cultura ed il mindset dei founder nel mondo varia grandemente.
È possibile costruire in media qualcosa di grande successo senza essere immersi in una tech community di primo piano?
Un business come quello di acceleratori e venture capitalist può scalare veramente?
Noi continuiamo a pensare che sian molto difficile, se non impossibile, ma in questo settore serve almeno un decennio per avere dati su cui basare le proprie considerazioni.
Il report di PitchBook che ha stimolato questo articolo analizza l’andamento di questi cinque acceleratori negli anni secondo diverse direttrici e fornisce delle informazioni indubbiamente interessanti. Non è specificato con quale criterio siano stati selezionate le realtà analizzate, ma presumo che la scelta sia avvenuta in base al volume e la copertura del territorio americano.
Noi ci concentreremo su alcuni dei punti alla base dell’analisi, quelli che mi sembrano di maggiore interesse per chi di voi dovesse scegliere in questo momento: geografia delle company, volume delle exit e quantità di capitale raccolto. Per l’intero resoconto alla fine dell’articolo troverete il link diretto al report integrale.
Per i grandi acceleratori americani la ricerca di opportunità a livello globale è sempre stata importante per costruire un brand che potesse scalare. Negli anni la quantità di aziende nate al di fuori degli USA ammesse a questi percorsi è cresciuto in modo deciso e lo spaccato offerto da questi cinque casi ci dice che:
2012: solo il 19.6% delle aziende erano non-US based
2022: ben il 42% delle aziende ammesse erano state create fuori dagli USA.
Attenzione che questo non significa sempre che le legal entity non siano state per la gran parte statunitensi al momento dell’investimento. Alcuni di questi acceleratori gestiscono una quantità ristretta di geografie ammissibili per l’incorporazione e quindi spesso chiedono ai founder di trasferire il tutto negli USA—in una C-Corp del Delaware—prima dell’ammissione ufficiale al programma.
Per darvi un’idea, anche solo considerando i dati del 2022, vediamo che Techstars guida la classifica con 296 non-US based startup, mentre YC segue a breve distanza con 253. Canada e UK dominano in termini di location preferite fuori dagli USA. Anche l’America Latina è stata tra le regioni guardate con maggiore attenzione da acceleratori e investitori e la crescita massiva di alcune realtà—come NuBank in Brasile e Rappi in Colombia—ha spinto il mercato in modo deciso verso questi poli.
NB: per darvi un dato, queste due realtà hanno raccolto negli anni oltre $6B dagli investitori.
Spesso i VC si strutturano anche per geografia, per cui, ad esempio, esistono diversi fondi verticali che investono in LatAm. Canada e UK vengono invece viste in modo abbastanza indifferente, forse perché molto ben presidiate dal mercato del venture Tier 1 — i nomi grossi, insomma.
Tra le statiche delle geografie, appare di tanto in tanto anche il nostro paese 🇮🇹 dove nel 2022 lo 0.4% delle company nel portfolio di questi acceleratori arriva dall’Italia. Per darvi un temine di comparazione: UK fa il 5.3%, la Germania il 2.6% e la Francia il 2%. A dire il vero questo è meglio di quanto mi attendessi, quindi bene, ma possiamo fare molto meglio.
Dando invece un’occhiata alla percentuale di exit delle aziende ammesse ai diversi batch negli anni è invece interessante osservare come i vari acceleratori abbiano dati molto diversi l’uno dall’altro, suggerendo che il processo di selezione e il network disponibile agli alumni facciano probabilmente una grande differenza. Noi stessi notiamo in modo estremamente chiaro questo fatto sul campo.
Ad esempio, se si considera il periodo a cinque anni dall’ingresso nel programma di accelerazione le statistiche dal 2010 al 2017 ci dicono che:
Exit di Y Combinator: 18.4%
Exit di Techstars: 18.5%
Exit di MassChallenge: 6.7%
Exit di 500 Global: 13.6%
Exit di SOSV: 5.7%
Ma non basta fermarsi a qualche numero che da solo può fornire un’impressione sbagliata.
È anche estremamente interessante guardare da vicino il grafico relativo alla percentuale di exit anno per anno di ognuno dei soggetti analizzati:
Come vedete, Y Combinator e Techstars dominano la scena con una crescita graduale dei liquidity event di successo nel tempo, mentre le percentuali si abbassano molto negli altri casi. Nono solo, ma è possibile notare anche come non tutti gli anni sono uguali. Man mano che gli anni passano il mercato vede affluire sempre più capitale in questo settore e la percentuale delle aziende che arriva alla exit si abbassa.
A mio parere ci sono due fattori che hanno più di altri contribuito a questo fenomeno:
la crescente dimensione del numero di startup ammesse ai batch di accelerazione, che aiuta la curva ad appiattirsi
la crescente abbondanza di capitale nel private market
Questo sicuramente fa parte del percorso di crescita degli acceleratori nel corso del tempo: maggiori application, espansione geografica, crescita del team a supporto della selezione e della gestione dei programmi. Nella nostra esperienza questo porta in diversi casi anche ad una crescita della qualità, quando questa viene misurata in termini di nostro crescente interesse all’investimento—ovvero, numero di deal chiusi per anno.
Altra questione di estremo interesse è il valore delle exit nel corso del tempo. In questo caso Y Combinator vince in modo evidente nei confronti della concorrenza, soprattutto grazie ai numerosi unicorn acquisiti o, più facilmente, andati in IPO:
Il valore è cumulativo nel corso del tempo, quindi non può che crescere. Inoltre, i numeri più interessanti si concentrano tra il sesto e il decimo anno di vita delle startup.
Per chiudere questa breve panoramica sul livello di successo degli acceleratori americani, non può mancare qualche dato sulla raccolta di capitale da parte delle aziende che partecipano ai batch. L’interesse di questo dato è almeno da due punti di vista:
La percentuale di aziende che raccoglie capitale una volta ammesse ai batch
Il valore cumulativo del capitale raccolto
In generale, il primo dato importante è che almeno il 50% delle company ammesse arriva a raccogliere funding entro i primi 3 anni, con percentuali che variano tra i 50% e il 70%. Dopo i primi 3 anni la curva di raccolta si appiattisce.
Per avere un dato comparabile sarebbe necessario avere gli stessi dati per chi invece decide di non passare dal un acceleratore per la raccolta. Ricordiamoci sempre che questi passaggi sono estremamente costosi in termini di diluizione per i founder e non sono per nulla obbligatori. Il grosso vantaggio risiede nell’ingresso accelerato nell’ecosistema e l’accesso alla rete di contatti dell’acceleratore—che rimane un patrimonio a vita.
A mio parere questo patrimonio rischia però di diventare estremamente passeggero e volatile se i founder decidono di non stabilirsi nei pressi dell’hub principale e far crescere la propria iniziativa nel tempo fisicamente vicini alla rete creata.
Come sempre, esistono eccezioni, ma la vicinanza può essere difficilmente rimpiazzata da Zoom. Le aziende che decidono di avere una strategia remota, devono farlo perché questo è il modo migliore di raggiungere il successo e non perché è più comodo rimanere a casina. Uscire quindi da San Francisco, New York, Boston o LA una volta concluso il batch, spesso è un errore che taglia le gambe alla propria capacità di farcela.
Ma vediamo i dati di raccolta cumulativi:
Guardando le cohort dal 2010 al 2022, Y Combinator è al primo posto indiscusso con le sue portfolio company che hanno raccolto cumulativamente circa $80.9B.
Il soli batch del 2016 hanno raccolto ben $ 15.3B. Per darvi un’idea della differenza, il secondo classificato, Techstars, con le sue portfolio company tra il 2010 e il 2022 ha raccolto $23.3B.
Noi dopo diversi anni in questo settore, non abbiamo molti dubbi. YC fornisce indubbiamente il miglior ritorno sull’investimento ai propri founder ed è forse l’unico tra gli acceleratori USA che varrebbe la pena di considerare come application anche se non non ci fosse una reale necessità. Il network è qualcosa che vi rimane agganciato per sempre.
Per quanto sia un valore tangibile, ricordate sempre che un giro di giostra vi costa il 7% dell’azienda che lasciate sul piatto ad una valutazione sotto i $2M, ma se io avessi 22 anni e dovessi partire oggi probabilmente lo farei.
Un pensiero finale
Non ne abbiate a male, ma per chi di voi è arrivato fino a qui, questo è il momento in cui andrò a contraddire tutto quello che di buono vi ho detto in questo articolo.
Io credo sinceramente che coloro i quali decidono di creare un’azienda e farne una grande company grazie anche al capitale di investitori esterni dovrebbero sempre evitare con tutte le forze di diluire il proprio capitale passando da uno o più acceleratori.
Oltre a questo, va tenuto presente che un acceleratore è un grosso investimento di tempo ed energie. Per chi non ha esperienza in questo settore e non si sente abbastanza forte per partire con le sue sole forze, un acceleratore è indubbiamente un modo per imparare, ma è un modo molto costoso per farlo. Oggi sembra che applicare ad un acceleratore sia sempre il primo passo da fare, ma non lo è. In effetti, è sempre e soltanto il piano B. Ogni qualvolta potete, evitate questo passaggio ed invece costruite un prototipo, andate a parlare con il mercato ed iniziate a vendere quello che fate. Se non potete permettervi di farlo a spese vostre per 6 mesi, usate quel prototipo per andare a cercare finanziatori e fatelo ad una valutazione fair. Vi assicuro che con queste premesse la possibilità che avete di raccogliere è almeno uguale se non superiore rispetto a quella di entrare in un acceleratore blasonato. E alla fine della giornata avrete $500K o $1M in banca con una diluizione non superiore al 15-20%. Non avrete perso tempo e in un mese sarete nuovamente a testa bassa su prodotto e clienti.
I migliori investimenti della mia vita hanno tutti evitato il giro di giostra.
Per chi di voi volessi guardarsi l’intero report, vi rimandiamo a questo link.