Perché il pitching in Silicon Valley è diverso dal resto del mondo
Tutti sanno che un buon pitch può fare tanto. Ma l'arte del pitching è una vera e propria scienza che trova le sue radici ed il suo fine nella zona della terra dove nasce: Silicon Valley.
L’articolo che ha scatenato in me il desiderio irrefrenabile di scrivere questo post è stato scritto nel 2019 da un imprenditore francese, Yann Lechelle. Yann ad un certo punto spiega Silicon Valley così:
Silicon Valley is a machine that is organized to create champions. In the United States, the society generally accepts that financial success brings social good. Zuckerberg is brilliant but it was Silicon Valley that made Zuckerberg. Because of the very structure of Silicon Valley, there would have been a Facebook powered by West Coast finance anyway.
We don’t understand Silicon Valley until we understand that Americans don’t create companies to do harm (or good) but to create champions from the very beginning to succeed.
Questo è il punto che vi fa capire perché tante delle cose delle quali abbiamo parlato nel Silicon Valley Dojo, a volte sembrano di un pianeta diverso… perché sono un pianeta diverso. E queste poche righe vi rendono subito evidente perché le startup sono così diverse da qualsiasi altra company. Alla base del tutto è la fabbrica che è diversa, perché è stata organizzata nei decenni per creare campioni: non solo aziende che scalano, ma entità uniche nel loro genere.
Tutti, almeno una volta, ci siamo detti :”io avevo pensato Facebook prima di Facebook, o AirBnb, o Stripe…”. Ma questo non significa nulla, perché ognuna di questi decacorni non sarebbe tale senza la champion-maker machine di Silicon Valley in grado di prenderti sotto braccio e spingerti ad eccellere.
Detto ciò, va da sè, che anche il pitch vincente in Silicon Valley non segua le regole che funzionano in tutti gli altri hub. Sono convinto che un pitch che raccoglie $2M in 7 giorni a San Francisco, se portato in Europa, non funzionerebbe allo stesso modo.
Perché?
Tutto è diverso: cultura, investitori, senso della velocità, euforia, prospettive di mercato e in ultimo anche i founder.
Quindi non possiamo pensare di creare un pitch vincente in Italia — ad esempio — e con quello partire alla volta di San Francisco. Non funziona.
Volete qualche esempio di cosa potrebbe non funzionare?
Troppo lungo
Troppo denso di parole sulle slide
Il ritmo della presentazione non quadra
La mimica non funziona
I numeri non sono sufficienti
Sono i numeri sbagliati — per la zona
Prodotto troppo complesso
Strategia di fundraising che fa storcere il naso
ecc.
Posso continuare, ma state certi che presa un startup early stage a caso dal vecchio continente, ci troverei almeno 3 cose — tra quelle che ho elencato — che non vanno. E questo significa che, anche con i numeri giusti, non si raccoglie un dollaro finché il founder non decide di immergersi fino al collo nel day by day della Bay Area per 6 mesi — minimo.
Eppure per imparare come basta poco: noi cerchiamo di trasmettervelo da oltre un anno. Ma non funziona se rimaniamo nella nostra bella Milano, Brescia, Roma o Bologna. Possiamo imparare tanto leggendo ed interagendo online, ma senza viaggiare il round non si chiude, il campione non si crea. Senza uscire dalla nostra comfort zone, prendere un aereo e stare per 3 mesi alla volta a San Francisco, non capiremo perché al di là dell’oceano funziona diversamente.
Ve lo faccio rileggere:
Silicon Valley is a machine that is organized to create champions.
Sfoderare un pitch che sembra easy e naturale, pur avendo i numeri per farlo, è il frutto di quella cultura americana che non cerca di creare semplicemente grandi aziende scalabili, ma veri propri campioni, tutti unici nel loro genere.
Ma torniamo a bomba sul pitch: vi sembra possibile che con queste premesse il pitch sia una cosa qualsiasi?
No, non lo è. È vero, tante, tantissime, startup che oggi raccolgono fior di milioni ai demo day a cui assistiamo non sono create da persone di Palo Alto, ma sono il frutto di quella cultura americana filtrata da un quell’ecosistema. E se scavate a fondo, trovate che senza San Francisco, i suoi investitori, i suoi professionisti, la sua carica, non sarebbero arrivati fin lì.
Volete un esempio per tutti?
L’application al batch di YC sembra una cosa facilissima, guardando il semplice form che si deve compilare. Ma poi solo poco più del 2% degli oltre 16.000 founder che hanno applicato sono stati ammessi. E di quelli probabilmente solo il 25-30% raccoglie con grandssimo successo. Parliamo dello 0.6%.
Avete mai visto il video con il quale DoorDash ha applicato a Y Combinator nel 2013?
Questo minuto e ventinove secondi sono … 🧙 magici — anche perché oggi sappiamo cosa hanno generato. Parliamo di ragazzi di poco più di 20 anni che però sono il frutto di quella cultura che li ha presi ed accompagnati ad essere un’azienda che 9 anni dopo è quotata in borsa e vale oltre 40 miliardi di dollari — oggi solo 40, con lo stock market in grande calo.
Il talento, la naturalezza, unita alla semplicità, confidenza e frugalità — se supportata dalla macchina da guerra di Silicon Valley — produce dei campioni unici nel loro genere. In un post di TechCrunch di settembre 2013 — quindi appena chiuso il demo day — leggiamo:
DoorDash has raised a $2.4 million round led by Khosla Ventures’ Keith Rabois and Charles River Ventures’ Saar Gur. SV Angel’s David Lee, YC partner Paul Buchheit, Benchmark co-founder Andy Rachleff, angel investor Russell Siegelman, and Pejman Nozad‘s new fund Pejman Mar Ventures were also in on the round. Terms of the deal were not disclosed.
The company, which was in Y Combinator’s summer 2013 batch, delivers food from 70 restaurants in Palo Alto and Mountain View to nearby towns for $6.
La valutazione non è stata rilascita, ma “my best guess” visto il raccolto direi $8-10M pre-money massimo — all’epoca molte SAFE erano pre money. Quanto varranno oggi quei $2.4M? Sicuramente qualche miliardo di dollari.