Perché ci sono pochi italiani nei batch di YC: the naked truth
Come mai troviamo così pochi connazionali nei batch di Y Combinator? Oggi cercheremo di dare una risposta e di farvi capire come cambiare questo trend. Preparatevi, non sarà facile 😵💫
Domanda: gli italiani sono così diversi da tanti altri founder che approcciano Silicon Valley per inseguire un sogno?
TL;DR: No.
In Silicon Valley troviamo founder provenienti da tanti paesi diversi e tutti spinti dal medesimo desiderio: creare qualcosa di grande che lasci un segno nel mondo. Come dicevo qui, sono persone guidate da una missione nella vita, che non demordono ed hanno una capacità non comune di persistere di fronte alle difficoltà. Ma non sono super eroi, bensì persone normali perlopiù con una grande volontà.
Come mai tra questa moltitudine di founder non ci sono tanti italiani?
Molti potranno pensare che non ci siano role model che arrivano dal nostro Paese, ma anche questo, come sappiamo, non è vero. Oltre agli esempi che sempre portiamo alla vostra attenzione — Sysdig e Kong — che ne sono altri. Per esempio, Pensando Systems, che recentissimamente ha venduto ad AMD per $1.98B, ha un cuore anche italiano. Tra i co-fondatori ci sono infatti Mario Mazzola e Luca Cafiero, due tra gli italiani che hanno fatto grande Cisco a partire dalla fine degli anni ‘90. Nel team troviamo tanti altri ingegneri italiani provenienti per lo più dal Politecnico di Torino (come Enrico Schiattarella). Troviamo anche il grande Silvano Gai, ex professore del Poli trapiantato negli USA alla fine degli anni ‘90. BTW, avevate letto questa notizia online—quella di Pensando Systems?
Le motivazioni alla base dell’assenza in massa dei nostri founder dalle scene di San Francisco va ricercata in un insieme di fattori, che cercherò di riassumere in questo articolo. So già che molti potrebbero non apprezzare quello che scriverò e sicuramente non vale per tutti, ma nella mia esperienza la gran parte delle volte è così. Non preoccupatevi però, userò tanti meme per addolcire un po’ la pillola.
Ricordate la promessa che vi abbiamo fatto nelle prime puntate del Silicon Valley Dojo?
Scrivemmo che non vi avremo coccolato, ma avremo cercato di trasmettervi la verità nuda e cruda.
Così farò anche oggi, quindi, tra uno sberlone e l’altro al “founder nazionale” cercherò una via di uscita possibile.
Ma prima: se volete approfondire ci vediamo il 18 maggio qui 👉 Come prepararsi (operativamente) alla Silicon Valley (sarà il penultimo dei nostri incontri live, poi ci fermiamo).
Ci manca qualcosa
Accedere al batch di Y Combinator è sicuramente una scorciatoia—aperta a chiunque voglia provarci—per catapultarsi a gran velocità in un mondo che solitamente è molto più difficile approcciare: il fundraising in Silicon Valley di fronte a oltre 2.000 investor.
Possiamo vederlo un po’ come un portale spazio-tempo che, se ci va bene, ci proietta in pochissimo tempo su uno dei palcoscenici più ambiti al mondo per presentare la nostra idea e ci mette a contatto con un network—gli alumni di YC dall’inizio dei tempi—con il quale abbiamo solo sognato di poter interagire.
Alla radice del fatto che stentiamo a trovare italiani nei demo day di YC, ci sono sicuramente una serie di cose che, come italiani, sicuramente non abbiamo assimilato bene… 🤔.
Ne abbiamo parlato qua e là in diverse occasioni, ma credo che valga la pena di provare ad elencare tutte assieme le ragioni del fallimento—almeno fino ad ora.
a) Non abbiamo proprio capito quanto importante sia la geografia in questo mondo
Lo dicevo nell’ultimo webinar: quando decidiamo di impegnare i prossimi 10+ anni nella creazione di un’azienda che lasci un segno, non possiamo non chiederci quale sia il luogo migliore del pianeta nel quale lanciarla e farla crescere.
Giusto?
Uno dei founder delle startup del nostro portfolio che abita nell’area di Chicago ci ha scritto in un recente update:
We’re moving to San Francisco! We’re here already, in a temporary AirBnB, and we should have a permanent place by next month. SF definitely has its flaws, but it still has the strongest community of people working on technically ambitious projects. For a company like ours, at least, it’s the place to be.
Questo abita a Chicago, non a Voghera.
Ogni software engineer designer, devop, community o product manager italiano dovrebbe desiderare ardentemente di essere a San Francisco, anche solo per imparare.
Trovo tanta, troppa, gente che si ferma di fronte alla più piccola difficoltà.
Sapete che qui la scarsità dei talenti è un problema serio? Le aziende non trovano junior engineer da poter assumere per $100,000 l’anno e dodici mesi passati in Bay Area valgono più di un master, ve lo assicuro—stipendio a parte.
Siete appassionati di AI/ML, GoLang, Rust, crypto, fintech,… whatever prendete un aereo e partite accidenti.
Sperimentate finché siete molto giovani, perché come diceva Jobs, non avete nulla da perdere e tutto da guadagnare.
P.S. In realtà potete sperimentare a qualsiasi età, è solo un po’ più dura.
b) Abbiamo paura di…
Come italiani, purtroppo, non brilliamo spesso per coraggio ed il caro ambiente famigliare in cui siamo nati e cresciuti ci ha reso molto insicuri. Abbiamo centinaia di paure e timori che vanno superati. Spesso si dice che in Italia, contrariamente alla California, il timore del fallimento ci frena. Beh, vi posso assicurare che questo non è vero o comunque non rientra nelle paure di cui parlo io.
A 22 anni non abbiamo sicuramente paura di fallire, mentre siamo spaventati dalla vita perché ancora non abbiamo mai provato a essere indipendenti, ad arrangiarci senza mamma e papà. Abbiamo una vita tutto sommato mediamente molto comoda rispetto a chi cresce in California — e negli USA in generale. Troppo comoda, direi, e questo è un problema imputabile anche ai genitori — io per primo.
Prendete in mano le redini della vostra vita e… vivete!
Se la maturità di un popolo si misurasse dall’intraprendenza della generazione 14-20 anni, noi come italiani non saremmo messi bene.
Spremetevi come dei limoni finché siete molto giovani ed usate il tempo per imparare e fare esperienze.
Ma le guardate le statistiche di unemployment nel nostro Paese?
Questa è la reale paura che dovremmo avere: prepariamo i giovani per essere astronauti e poi proponiamo loro impieghi e salari demotivanti. Mettiamo la gente a studiare come dei pazzi—perché la nostra scuola è dura, ma dura forte rispetto agli USA—e poi abbiamo da offrire loro solo posti come stagisti, poi apprendisti per tre anni e forse un contratto a tempo determinato al minimo sindacale.
Non è colpa di nessuno, né dello stato, né delle imprese. In Italia l’economia funziona così.
Non avete voglia di mettere a frutto i vostri sforzi? Non sognate di poter lavorare in posti dove il meglio del pianeta lavora?
Io avevo queste ambizioni e un po’ mi hanno consumato—forse troppo, se devo essere sincero—, ma non le vedo spesso nei nostri giovani talenti.
Un articolo che ho letto tempo fa diceva che nella fascia 18-34:
Two-thirds of young Italians are still living with their parents.
Come on… questo è il primo scoglio da superare. Ma torniamo al tema YC.
Ricordate che non essere accettati da YC le prime N volte è normale, ma quanti di voi hanno provato almeno ad applicare? Più di una volta? Quanti hanno fatto una ricerca esaustiva sul come applicare con successo? Il meccanismo si può crack-are, credetemi e tanti altri l’hanno capito—gli americani in questo sono bravissimi e lo imparano fin dai tempi della scuola: l’arte del cheeting.
Intanto partite da qui: Mini-guida su come candidarsi a Y Combinator
c) Non abbiamo ancora compreso cosa sia una startup
…e spesso ci accontentiamo—per i motivi di cui sopra—a farla sotto casa semplicemente perché siamo nati lì. E se ce lo fanno notare, neghiamo.
Vi faccio una domanda e mi aspetto di essere odiato da qualcuno:
Quante persone conoscete nel nostro paese, con un’esperienza internazionale nel creare startup di successo?
Per imparare questo mestiere—come ogni altro mestiere—dovete essere circondati da mattina a sera da persone dalle quali sia possibile apprendere come si fa. Forse tra una decina d’anni sarà così anche a Milano o Roma, ma oggi sicuramente non lo è. Chi tra gli italiani ha imparato questo mestiere è all’estero. Alcuni sono in UK, altri in Bay Area, ma comunque sia li si possono contare sulle dita di due mani.
Credetemi, avete bisogno di essere immersi in un ambiente nel quale ci sia tanta gente che stia giocando—o provando a giocare—in serie A. Senza questa scuola e questo contatto costante con una comunità di gente ambiziosa, determinata e competente non ce la potete fare. O comunque è dura dura dura, quindi smettiamola di essere masochisti.
E queste cose non si imparano sui banchi di scuola o in un acceleratore, ma prendendo un biglietto aereo per uno dei pochissimi posti nel mondo in cui le cose che sognate stanno succedendo adesso. Non domani, non tra qualche anno. Adesso, mentre scrivo. Il martirio non è la via per raccogliere fondi.
Quindi se ancora non avete capito cos’è una startup e come si costruisce da zero è perché non avete viaggiato a sufficienza. Purtroppo molti degli italiani che incontriamo credono di saperlo, ma vi assicuro che non è così.
In verità, questo è vero anche per tanti altri, non solo i nostri connazionali. Ne sentiamo tanti.
d) Attitude
Capiamoci bene. Non è che nel panorama italiano non ci siano buone idee o che non ci sia gente in gamba al punto tale da non poter fare la prossima Stripe. Di buone idee e di gente in gamba ne abbiamo a mazzi.
Quello che manca è invece l’atteggiamento giusto nel confezionare la tecnologia che abbiamo tra le mani. Quello che spesso vedo scarseggiare da noi sono quelle qualità che servono a farci uscire dall’orbita della PMI e lanciarci nello spazio infinito dei grandi progetti, quelli davvero ambiziosi.
In concreto:
Bisogna puntare in alto. Intendo molto in alto avendo chiaro che senza questa ambizione, non saremo mai appetibili per un VC con un fondo da un billion dollar—ma neppure per uno da $20M. La formula con cui le revenue devono idealmente crescere è questa: 1-2 anni per arrivare a $2M ARR, poi triple, triple again. Poi double, double e double ancora. Fate il calcolo ed in sette anni sarete oltre i $100 ARR. Questo è ciò che ci aspettiamo quando investiamo su di voi.
Serve velocità nell’esecuzione e tanta potenziale scalabilità nel prodotto. Quello che fate, anche se parte da San Francisco, deve velocemente e senza grandi sforzi, essere proponibile a San Jose, LA, Miami, Chicago… Ricordate che i primi round—quelli nella fase Seed—si raccolgono in base alla vostra capacità di spingere l’adozione del prodotto molto rapidamente e farlo pagare—Yes, pagare. La velocità con cui passate da ZERO revenue $1M è uno dei parametri chiave.
Questo non vale per proprio tutti i casi, ma per moltissimi è così. Quindi, prendetela come “La via” da seguire.
Entusiasmo. Se non siete entusiasti voi del vostro prodotto, sicuramente non potranno esserlo i vostri investitori. Bisogna imparare a vendere il proprio pitch a chi vi sta davanti, ricordando che prima di tutto “It’s what you show, not what you tell”. Ma anche anche how to show and tell. Noi—e con noi i partner che vi selezionano per YC—vogliamo vedervi nel pieno della vostra esaltazione per quello che state facendo.
Vi assicuro che tanti di quelli che abbiamo scartato al Demo Day W22 di marzo non avevano questa caratteristica. Erano mosci e non riuscivano a trasmetterci la confidenza di chi sa di essere su qualcosa di grande.
Priority. So che non sembra molto bello a dirsi, ma se volete essere tra quel uno o due per cento che viene accettato a YC, dovete sapere che quello che state facendo—la vostra company—è la priorità numero uno, due e tre nella vostra vita. A quell’obiettivo si dovrà subordinare tutto il resto—almeno per un po’. Quindi quando i vostri amici si stanno divertendo il venerdì sera, voi starete lavorando sul prodotto o sui clienti. E questo per tanti, tanti, tanti venerdì, sabato e domenica sera di seguito. Una startup che non ha questa intensità potrà anche avere un po’ di successo, ma non quello che serve ad un VC.
e) Mancanza di conoscenza
Non basta essere dei grandi sviluppatori o dei fini strateghi. Per crack-are il mondo di Y Combinator e dei VC di San Francisco serve una profonda conoscenza del settore. Ora, se non siate nati e cresciuti a Sunnyvale o Palo Alto e non avete un bachelor degree in computer science, questa non ce l’avete stampata dentro. Dovete quindi essere onnivori e cibarvi di qualunque fonte possa portarvi più vicino a quel mondo. Qui Internet ha moltissimo di ciò che vi serve (Twitter soprattutto!), ma il nostro consiglio è di spendere quanto più tempo possibile a San Francisco. Senza quest’ultimo tassello vi assicuro che non capirete fino in fondo.
Ma nel frattempo leggete libri, biografie, forum, post, tweet, insomma tutto ciò che può aiutarvi a respirare dal remoto il clima di Silicon Valley. Da Hacker News, Crunchbase, TechCrunch, Twitter e centinaia di pubblicazioni Substack potete imparare l’80% di quello che vi serve. Dovete sapere cosa accade nel momento in cui sta accadendo. Privilegiate le fasce orarie nella quali la West Coast è online.
Dormite meno e assorbite tutta questa massa di informazioni più che potete.
Acquisire conoscenza richiede molta disciplina e non sempre avrete voglia di sacrificare il vostro—poco—tempo libero, ma senza questi sacrifici vi assicuro che non vi avvicinerete neppure all’obiettivo.
f) Connessioni
Le connessioni sono fondamentali e molte di queste si costruiscono online — da sempre. Quindi l’Italia va benissimo per queste. Volete essere sul palco di YC per presentare la vostra startup? Usate la rete per capire a chi chiedere feedback sul vostro prodotto, connettetevi e seguite su Twitter le persone chiave. Interagite, perché, ça va sans dire, leggere solamente non vi porta alcuna connessione—ma vi fa pensare ed mettere in discussione. Dovete esporvi, mettervi in gioco, rischiare di non avere successo e farlo il prima possibile nella vostra vita.
Whoops… preso dalla foga ho scritto un po’ troppo e mi rendo conto che avrei ancora molto da dirvi, ma è meglio che mi fermi qui. Spero che il messaggio sia passato.
Se volete approfondire ci vediamo il 18 maggio qui 👉 Come prepararsi (operativamente) alla Silicon Valley (sarà il penultimo dei nostri incontri live, poi ci fermiamo).
Spesso con Luigi ci diciamo:
“ma se fossimo stati qui—in Silicon Valley—già alla fine degli anni ‘90, chissà cosa avremmo potuto fare…”
Certo, siamo due nerd, ma qui sono tutti nerd! Siamo capaci di farci una maratona del TV show di Silicon Valley di HBO ogni 3 mesi. O di Star Wars o di Big Bang Theory a rotazione.
In Italia ci siamo sentiti sempre un po’ diversi, poco capiti dal mercato, ci siamo adattati per tanto tempo, ci abbiamo provato, ma alla fine—pur essendo un paese bellissimo in cui vivere—dopo 15 anni di viaggi abbiamo capito che in Bay Area ci sono molte più persone simili a noi.
Ma la domanda rimane: “cosa avremmo potuto realizzare se fossimo piombati a Menlo Park nel 1998?”.
Grande articolo! Grazie Massimo dell'ennesima spinta motivazionale, sinceramente mi avevi già convinto la prima volta che ti ho ascoltato su questo tema tempo fa ma fa sempre bene risentirlo. Io partirei anche domani, sto cercando di riempire un pò il salvadanaio perchè abbiamo capito che la vita là è cara....ma tutto si fa con la giusta volontà.
Grazie Massimo, ho percepito perfettamente l’energia che hai messo per spiegare il concetto. Per quanto non ci sia paragone con il vivere direttamente in silicon valley in Italia dobbiamo creare delle ‘filiali della silicon valley’ direttamente connesse con la casa madre.