Startup e lifestyle business (on the web): due modelli meravigliosi per creare aziende globali
Sono veramente certo che il sogno della mia vita sia creare una startup? Ho compreso cosa questo significhi? Esistono altri modi per creare aziende globali su Internet.
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Nella mia carriera ho intrapreso diverse strade cercando di reinventarmi sempre in settori che ritenevo il futuro — o semplicemente divertenti.
Ognuno dei lavori da cui mi sentivo attratto ha avuto dapprima la tecnologia al centro a cui poi si è aggiunto l’uomo. Ora questi due elementi sono per me inseparabili se vogliamo creare qualcosa di buono, oltre che di successo.
Sono partito come sviluppatore software, per arrivare a coordinare progetti di architettura di sistemi quando il web era appena nato. Dopodiché mi sono impegnato per diversi anni con la mia azienda nella realizzazione di software scalabili per grandi aziende italiane. Infine, una volta che Internet e le startup hanno cominciato a diffondersi, il mio interesse è man mano migrato verso un’innovazione più spinta che potesse incidere a livello globale. Alla fine degli anni ‘90 — vedendo il primo cartellone pubblicitario di Genialloyd — avevo capito che in qualche decina d’anni tutto sarebbe stato online e che la rete sarebbe stata il mezzo. Google era appena nato e nessuno conosceva Sergey Brin 😁:
Ciò che mi affascinava più di ogni altra cosa del mondo startup era la possibilità di costruire un'azienda di prodotto con le mie solo forze partendo dalle competenze che avevo sulla tecnologia. Una sorta di rivincita dei nerd!
La scintilla è però scoccata solo 8-9 anni dopo. Dopo essere stato per diversi anni nel mondo dei servizi, l’idea di misurarmi nella creazione di un business scalabile puntando su un prodotto attraeva il mio interesse più di ogni altra cosa. Inizialmente devo dire che il concetto di “growth” non mi aveva preso più di tanto. Forse perché uscendo da un’esperienza con grandi aziende come clienti, desideravo creare qualcosa di piccolo, auto-sostenibile e semplice. C'è anche da dire che nel 2007-2008 non si parlava troppo velocità di crescita e di venture capital — almeno in Italia — anche se mi era assolutamente chiaro che sulla West Coast americana stava succedendo qualcosa di unico. Nonostante questo, in quei primi anni il mio interesse era rivolto alla creazione di una piccola azienda con un prodotto che potessi vendere a tutto il mondo.
Avevo capito che con poche persone di talento nel proprio team si potevano raggiungere traguardi molto alti ed io avevo assunto tanti ingegneri del software fino ad allora, avendo avuto il privilegio di lavorare con alcune menti molto sveglie.
Una piccola azienda di prodotto auto-sostenibile mi sembrava un traguardo favoloso che poteva assorbire le mie energie per molto tempo. I conti erano presto fatti: 25 dollari al mese per cliente e 10 mila clienti paganti, portavano a 3 milioni di ricavi all'anno. Un business di questo tipo era gestibile con 10, forse 15 persone ed un costo complessivo di $1M-$1.5M all'anno.
I piccoli dettagli che non avevo considerato erano che:
Non l’avevo mai fatto
Non è affatto facile da fare — come compresi in seguito
Il modello però l’avevo di fronte agli occhi. Si chiamava 37signals — ora Basecamp — per cui il concetto di SaaS stava decollando con profitto.
La realtà era nata a Chicago da Jason Fried e David Heinemeier Hansson — conosciuto come DHH; ne avevo approfondito il modello negli anni grazie alla mia passione per Ruby on Rails — anche conosciuto come RoR. Nel 2007 RoR si stava diffondendo molto velocemente grazie anche al fatto che aziende come Twitter e GitHub lo avevano adottato come stack di sviluppo. Questo piccolo dettaglio — che 37signals avesse inventato e rilasciato in open source Ruby on Rails — faceva la gran parte della differenza 🤔.
Comunque fosse, oramai ero convinto: prodotto, prodotto, prodotto 🙌.
Ciò che mi affascinava delle aziende di prodotto rispetto a quelle di servizi era la curva di crescita del business in relazione all’aumentare del numero dei collaboratori. Il rapporto non era lineare e si poteva quindi gestire un business crescente con un numero limitato di persone — quelle giuste:
Oggi questo sembra ovvio a tutti, ma per me all’epoca non lo era affatto. Se il prodotto avesse funzionato come doveva, presto tardi la curva dei ricavi si sarebbe trovata a salire molto più velocemente rispetto ad un modello basato sui servizi.
Con un prodotto tra le mie mani non sarei dovuto andare alla ricerca anno dopo anno di tutto il business necessario — ripartendo quasi da zero — per tenere in piedi d'azienda e farla crescere. Avrei potuto concentrarmi su un’unica cosa ed i nuovi clienti sarebbero arrivati per effetto del passaparola. Se il nostro obiettivo non è la scalabilità in tempi rapidi è molto probabile che il solo content marketing — ben fatto — sulla comunità giusta, possa permetterci di crescere bene in modo organico — questo lo credo ancora oggi.
Erano i primi esperimenti e diverse cose non erano chiare, nonostante fossi alla soglia dei 40 anni. Credevo che in questo modo avrei potuto smettere di “vendere” — cosa che non amavo fare. Ancora oggi rimango convinto che il modello di per sé possa funzionare bene se l’intenzione è quella di creare un piccolo shop sul web che fatturi qualche milione all’anno.
Attenzione però che in questo modo non stiamo creando una startup. Per me la classificazione più adeguata per questo genere di azienda è quello di lifestyle business sul web. Meglio se globale, quindi fatto per vendere al mondo intero in lingua inglese — e forse poi molte altre. Il bello di queste aziende è che possono essere lanciate senza l'apporto di capitali esterni, in totale autonomia e facendo quasi unicamente riferimento alle proprie forze — almeno all’inizio. Anzi, realtà strutturate in questo modo non dovrebbero mai andare da ricerca di capitali — soprattutto di venture capital e, se vi chiedete perché, meglio che rileggiate qualche articolo della nostra serie o fatemi capire se serve un articolo ad hoc.
Quando parliamo di startup il tema è completamente diverso. In particolare, queste differiscono da un lifestyle business sul web per almeno 3 aspetti:
Hanno ambizioni molto più grandi
L’obiettivo non è la sostenibilità nel breve periodo — ma nel medio-lungo sì
Non solo vogliono crescere, ma sono intenzionate a farlo il più velocemente possibile — cosa innaturale per un'azienda ordinaria
Per riuscire in questo intento le startup hanno come strada forzata quella di ricorrere a ingenti capitali di terzi ed usarli per accelerare sia la costruzione del prodotto, che l’acquisizione di quote di mercato.
Ma non solo. Le risorse di cui hanno bisogno, non sono “capitale qualunque”, bensì risorse economiche con delle caratteristiche ben precise:
Il capitale deve essere essere facilmente disponibile in quantità sempre maggiore man mano che l'azienda dimostra di poter raggiungere traguardi sempre più importanti
Il capitale che si raccoglie deve arrivare con pochi vincoli, in modo tale, che il team possa eseguire in autonomia il piano di crescita
Investitori e founder devono concordare sul fatto che il percorso sarà lungo — un decennio almeno — e che quindi che il founding team dovrà arrivare alla exit detenendo una percentuale sufficiente dell'azienda tale da mantenere il loro interesse molto vivo
Lifestyle business e startup sono due modelli di azienda estremamente affascinanti. Le sfide sottese in entrambe i casi sono tante e non esistono garanzie di successo.
Condividono la scintilla iniziale: risolvere un problema che sentono urgente e che non vedono risolto adeguatamente.
Lifestyle business e startup sono anche molto diverse per quanto concerne il punto di arrivo. In qualche modo è l'ambizione dei founder che rende la startup una fast-growing company e la spinge a diventare un leader mondiale nel suo settore — come Kong, ad esempio.
Ci sono persone le cui ambizioni sono invece di creare piccole gemme in rete, come il caso di Balsamiq creata da un italiano, Giacomo (Peldi) Guilizzoni, il quale in un’intervista di qualche anno fa intitolata “The growth of Balsamiq [Bootstrapped, profitable, and proud]” diceva:
I am trying to build what DHH — co-founder at Basecamp — calls “a little Italian restaurant on the web”…so while it’s good to know the owners and know that they are doing well, that shouldn’t be the reason you go eat there: it’s the quality of the food (ehm, product) that matters most.
Questa comparazione tra due modelli — che mi piacciono moltissimo per ragioni diverse — mi porta a fare una considerazione finale.
Forse in paesi nei quali l'ecosistema dell'innovazione non è sufficientemente sviluppato, si dovrebbe concentrare l'attenzione e le poche risorse economiche disponibili nella costruzione di lifestyle business su web e non tanto di startup.
Qui mi aspetto i fischi… 🙀, ma vediamo di dirla in modo diverso.
Chi vuole creare una startup partendo da aree come l’Italia — e tante, tante altre ancora — dovrebbe essere quantomeno conscio che dovrà pensare molto velocemente di spostare la testa della propria azienda in paesi nei quali la disponibilità di capitali ed il passo con cui l’innovazione si propaga siano molto elevati. Creare un’azienda globale che cresce a ritmi vertiginosi —10% week over week nel breve, oppure 3x anno su anno nel medio periodo — richiede accesso a grandi quantità di capitali o forse anche dei capitali giusti. Il founder dovrà acquisire in poco tempo un’esperienza che pochissimi hanno ed anche questo richiede di essere nel posto giusto. Non bastano gli investitori: servono avvocati, software engineer, VP che abbiano già fatto scalare aziende simili in passato, product manager, community manager, growth engineer, esperti di customer support e tanto marketing. Ecco perché noi insistiamo tanto sulle custom and practice — prassi — di Silicon Valley, perché senza conoscerle fin dal primo giorno sarà difficile poter accedere al patrimonio della Bay Area nel tempo. E soprattutto, sarà quasi impossibile comprenderne unicità e vantaggi fino in fondo.
Correremo il rischio di pensare che un decacorno — un’azienda con una valutazione di decine di miliardi di dollari — possa nascere e svilupparsi ovunque. Per ora, non è così e, nonostante ci siano delle eccezioni, queste non sono la norma. Gli Stati Uniti fanno oltre 300 milioni di abitanti e la Bay Area arriva appena oltre i 3. Nonostante ciò, negli ultimi 5 anni quasi il 70% degli unicorni è nato in California. Perché?
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Per oggi chiuderei qui, chiedendovi di spendere un po’ di tempo per farmi sapere quali sono le vostre riflessioni 🤯, su cosa siete d’accordo e soprattutto su cosa non lo siete. Quali sono le vostre esperienze?
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Quali sono i temi di cui vorreste che scrivessi in futuro?
✌️Peace & Love.
Io vorrei riprendere anche il concetto di family business (altri fischi e pernacchie) perché sono sempre stato affascinato dalle storie delle aziende “di famiglia” che creavano strade ed asili per il paese
Loris Degioanni con Cacetech a Davis fece prima la lifestyle company senza VC poi post Exit Riverbed 2010, la super startup a oggi con 250 mln da VC e 200+ people con Sysdig (container SW)...i VC post Cacetech lo inseguivano per dargli soldi..."credibility" !