Work smarter, not harder: il welfare aziendale della Silicon Valley
Se un lavoratore è più felice, sarà anche più produttivo. Se un'azienda è virtuosa anche quelle intorno a lei dovranno diventarlo per competere.
Da un po’ di tempo ho il pallino del welfare aziendale. È partito un paio di anni fa da una conversazione con Pierangelo, un imprenditore illuminato. Mi parlava di parlava delle policy aziendali di Antreem a supporto dei dipendenti, dalla maternità/paternità alla formazione alle ferie. Mi parlava di un’azienda felice, dove spesso la soddisfazione si trasforma in produttività.
E stiamo parlando di un’impresa di Imola, non di Palo Alto.
Allora perché non lo fanno tutte le aziende?
Ho iniziato a studiare il tema e sono entrata in un tunnel incredibile in cui per mesi non ho letto altro nel mio tempo libero. Volevo trovare la correlazione reale tra produttività e welfare aziendale. Volevo le prove!
Non volevo l’articolo di 10 righe, volevo vedere i dati, gli studi fatti sul tema e i numeri effettivi che avevano come risultato.
Le considerazioni più interessanti, dopo aver masticato innumerevoli ricerche ed essermi ripigliata più di una volta alle 3 di mattina su una pagina di Wikipedia con 15 visualizzazioni, sono due:
Anche sta volta c’è da imparare dalla Silicon Valley
Ci sono studi infiniti sul tema e la correlazione tra produttività e welfare aziendale è chiara (ma è difficile da provare in maniera inconfutabile)
Per welfare aziendale, secondo l’Enciclopedia Treccani, si intende il complesso delle erogazioni e prestazioni che un’azienda riconosce ai propri dipendenti con lo scopo di migliorarne la vita privata e lavorativa.
Il concetto è: se un lavoratore è più felice, sarà anche più produttivo.
Lo scopo di un piano di welfare aziendale ben fatto è quello di sostenere il benessere dei propri dipendenti, con particolare focus sulla conciliazione tra vita privata e professionale, rendendo l’ambiente lavorativo più sereno e quindi più produttivo nel lungo periodo, facendo leva sulla motivazione, sull’impegno e sull’identificazione con la mission e i valori dell’azienda.
Ancora una volta la Silicon Valley fa da capofila: è qui che si trova una fetta importante delle imprese considerate “best in class” al mondo, pluripremiate a livello internazionale per la qualità dei propri piani di welfare aziendale. Delle Top 20 imprese nominate “World's Best Workplaces 2020” ben 5 (Cisco, Salesforce, Intuit, Adobe, Cadence), il 25%, hanno il proprio HQ in Silicon Valley.
Sempre in Silicon Valley sono presenti la maggior parte delle aziende che storicamente hanno fatto scuola sui temi del welfare aziendale, in particolare: Google, Facebook, Github, Genentech, Netflix.
Netflix, ad esempio, con sede in Silicon Valley sulle colline di Los Gatos, ha un motto molto chiaro: “work smarter, not harder”.
Non impone ai propri dipendenti un orario di lavoro o un numero prefissato di giorni di ferie: l’idea è che ne usufruiscano quando ne hanno bisogno perché un lavoratore stressato è un lavoratore poco produttivo.
Le policy per la maternità e la paternità sono molto generose: nuove mamme e papà possono scegliere quanti mesi di congedo pagati prendersi, e normalmente questa finestra va dai 4 agli 8 mesi. Netflix mette a disposizione dei propri dipendenti un buget aperto per tutto ciò che riguarda la formazione, gli eventi, i viaggi. In particolare l’azienda dichiara che: our policy for travel, entertainment, gifts, and other expenses is 5 words long: “act in Netflix’s best interest.” e ancora No spending controls, “Use good judgment” is our core precept.
Per approfondire consiglio il libro “L'unica regola è che non ci sono regole. Netflix e la cultura della reinvenzione” che parla proprio dell’impostazione della cultura aziendale all’interno di Netflix.
Anche Salesforce, con sede nel Financial District di San Francisco, ha un focus importante sulla sua welfare policy. Ad esempio: ogni dipendente riceve un wellness budget di 100$ mensilmente per il proprio benessere. I dipendenti che cercano un figlio vengono supportati (anche economicamente) dall’azienda in caso scelgano di ricorrere all’adozione, alla procreazione assistita o alla maternità surrogata. Per i neo genitori esiste un programma di rimborso pasti per i primi mesi e uno di care backup in caso di chiusura di asili o babysitter assenti. 5mila dollari all’anno da spendere in formazione, 7 giorni all’anno per fare volontariato, 10mila dollari all’anno ai 100 volontari più attivi da donare a una non-profit a loro scelta. Poi uffici con scrivanie sit-stand, scrivanie con tapis roulant, tavoli da ping pong, tavoli da biliardo, sale di meditazione e lezioni di yoga.
Ma non solo i grandi colossi: queste aziende hanno impostato negli anni un nuovo standard per le policy di welfare aziendale, creando così un circolo virtuoso dove le aziende si sono man mano adeguate all’alto livello di qualità di trattamento e di attenzione verso i propri lavoratori: ad oggi ogni impresa o startup della Silicon Valley non può prescindere da questo standard, rendendo così l’ambiente lavorativo largamente migliore per tutti.
Un bellissimo esempio è quello di Kong, startup con sede a San Francisco fondata dagli italiani Augusto Marietti e Marco Palladino, che si è aggiudicata la certificazione “Great Place To Work” con il 96% dei dipendenti entusiasti della propria azienda. I benefit offerit da Kong includono un ufficio dog-friendly, le pause pranzo con i giochi di società e - come ormai è standard nelle aziende più attente ai propri dipendenti - giorni di ferie illimitati.
Molti benefit su cui le aziende in Silicon Valley hanno sempre puntato sono però in stretta relazione con gli uffici come luogo di lavoro: dal famoso parrucchiere nel campus di Google, ai pranzi gourmet offerti, alle palestre o ai campi da tennis.
Come stanno cambiando quindi i benefit durante questa rivoluzione del working from home? Il focus principale dei nuovi benefit è nel bilanciamento tra lavoro e vita privata, sicuramente una delle sfide lavorative più impegnative dell’anno appena passato.
Nel 2020 le aziende di San Francisco hanno offerto budget per asili e babysitter, sessioni di terapia e di counseling, personal trainer e lezioni di yoga da remoto, attività di team building in video call. Molti hanno iniziato a inviare ai propri dipendenti pacchi mensili, chiamati care packages, per farli sentire supportati: dentro contengono mascherine, disinfettanti, buoni per servizi di take-out, tisane rilassanti, libri di self-help su come affrontare questo momento difficile, prodotti per il relax e il benessere in casa.
Tutto molto bello, ma c’è davvero un ritorno economico per l’azienda in questo tipo di investimento? Tutte le ricerche fatte in merito dicono di sì (e concordano anche sulla difficoltà nel misurare un ROI diretto).
Conseguenze e vantaggi principali legate ai piani di welfare sono infatti difficilmente misurabili o difficilmente collegabili in maniera inequivocabile a queste iniziative. Tra i principali ci sono l’aumento della fiducia nell’organizzazione aziendale, la retention talenti, l’incremento della produttività, il miglioramento del clima all’interno dell’azienda, la riduzione dell’assenteismo, il miglioramento della Brand Reputation.
Questi i dati più siginificaivi che ho raccolto nella mia ricerca, a supporto della correlazione benefit-produttività:
+7.9% sul valore di mercato: uno studio del 2015 della University of Kansas pubblicato dal Journal of Corporate Finance rivela un nesso statisticamente rilevante tra la soddisfazione dei lavoratori e la crescita di valore sul mercato di un’azienda.
“For each 1-star increase in a company’s overall rating on Glassdoor, they found a 7.9 percent average jump in the market value of a company — a powerful financial impact”.+235% sul valore delle azioni in 6 anni: uno studio pubblicato nel gennaio 2016 sul Journal of Occupational and Environmental Medicine ha rilevato che le aziende che investono su piani di supporto Health & Wellness dei propri lavoratori hanno avuto un aumento medio del valore delle proprie azione del 235% in sei anni rispetto al 159% di altre società.
-45% di costo per perdita di produttività: uno studio della Lancaster University Management School indica che le aziende con una forte cultura Health & Wellness tendono ad avere un costo inferiore del 45% di perdita di produttività rispetto a quelle che non hanno piani di welfare in questo ambito.
-25% di assenteismo: uno studio del 2017 del Financial Finesse Financial Wellness Think Tank ha riscontrato una riduzione significativa del numero medio di ore di assenze non pianificate con il miglioramento del benessere finanziario dei dipendenti. In particolare, il numero medio di ore di assenze non pianificate è diminuito da 13,73 ore a 10,35 ore quando si passa da un punteggio di benessere finanziario di 4 a 6. Sulla base di uno stipendio medio annuo di 50.000€, un datore di lavoro con 10.000 dipendenti potrebbe risparmiare fino a 1 milione di euro all’anno in assenze non pianificate.
91% di dipendenti altamente motivati: un'indagine del 2016 dell'American Psychological Association ha rilevato che il 91% dei lavoratori delle aziende con programmi di benessere è soddisfatto del proprio lavoro e si sente motivato a fare del proprio meglio.
Assumere costa di più dei benefit: sostituire un dipendente che lascia il proprio lavoro per un’azienda con un piano di welfare migliore può costare dal 30 al 50% dello stipendio di un dipendente entry-level.
Insomma: anche i numeri supportano quindi la validità di questa impostazione della relazione azienda-dipendente! 🎉
Una sfida per gli imprenditori lungimiranti in Italia: aumentare il numero di aziende attente al welfare aziendale su di un territorio significa creare un effetto di circolo virtuoso per cui i talenti confluiscono verso queste aziende e territori, e le aziende non ancora compliant devono adeguarsi alzando il proprio livello per poter rimanere interessanti per i talenti, portando così benefit per tutti - imprese, lavoratori, territori.
Alcune correlazioni potrebbero avere un nesso di causalità che va in senso opposto a quello istintivo (es: sono le aziende che trattano meglio i dipendenti che aumentano il proprio valore di mercato, o è vero piuttosto che le aziende che crescono di più possono permettersi programmi più generosi di welfare aziendale?).
Al di là del problema uovo-gallina, certamente due dati sono inconfutabili:
- il miglioramento in termini di assenteismo (una banalità: poter lavorare da casa abbassa drasticamente le richieste di malattia per quei disturbi piccoli che non ti impediscono di lavorare ma ti impedirebbero di stare in ufficio)
- la riduzione di quello che io chiamo "churn rate dei dipendenti", ovvero il turnaround che seppur sommerso ha un costo
Ci siamo! Piccoli ma facciamo il nostro.. Generas Corp :)))))