Blockchain e NFT: iniziamo a scendere nella tana del Bianconiglio
Mai sentito parlare di NFT? Oggi provo a spiegarvi perché sono una potenziale grande opportunità sulla quale si confrontano entusiasti e scettici. Is the hype real? Intanto il 🚂 è partito.
Introduzione
Affrontando ed approfondendo questo tema, ho riprovato dentro di me in qualche modo la stessa identica sensazione che ebbi nel 1992. All’epoca ero tesista di Computer Science a Milano e stavo cercando di convincere SIP - Società Italiana per l'Esercizio delle Telecomunicazioni — che Internet era il futuro. Il loro gruppo ITAPAC — la rete a commutazione di pacchetto più in voga al tempo — non sapeva cosa fosse e il management a cui mi riferivo non capiva “chi pagasse” tutti questi pacchetti. Era il ‘92, tutti erano scettici quando parlavo loro dell’Internet, ma dentro di me avevo la sensazione forte che sarebbe stato il futuro. Con gli NFT non è proprio così, ma quasi — anche se la mia competenza sul tema non è ancora così forte da rendermi certo delle affermazioni che faccio. Detto questo lascio a voi il giudizio. Ma poi mi chiedo, ma nel ‘92 lo ero — così certo? mmmhhh… 🙈 🙄
Let’s start!
Qualche settimana fa Irene ha scritto un articolo molto interessante ed introduttivo al Web 3, con un elenco delle principali tematiche che si vanno diramando da questo mondo. Se non lo avete fatto, vi consiglio di leggerlo!
Fact 🙈
“As the NFT craze took over this year, people poured $26.9 billion into the digital ownership tokens in the first ten months of 2021, a report by blockchain analysis service Chainalysis found.”
Non è qualcosa che è possibile ignorare, che dite?
Building blocks
Oggi vorremmo fare un passo indietro e parlare della tecnologia su cui tutto questo mondo si basa — la blockchain — e di NFT con l’obiettivo di farvi capire perché non possiamo ignorare quanto sta avvenendo. Cercheremo di farlo in modo che sia comprensibile — speriamo 🤞 —, ma se ci seguite (e volete fare o state facendo una startup), alla tecnologia dovete avvicinarvi il più possibile, anche se tecnici non lo siete affatto. Quindi oggi vedremo anche un po’ “cosa si nasconde sotto il cofano” della blockchain. Pronti?
Gli NFT e perché sono così di moda
Da quanto leggiamo in rete, circa il 90% degli adulti in Giappone non sa cosa sia un NFT. Allora ci siamo chiesti: “vuoi mai che la stessa cosa stia avvenendo in Italia e che ci si stia perdendo la rivoluzione più importante dopo Internet?”
Questo ci ha fatto pensare che dovevamo fare qualcosa e scrivere un articolo specifico su questo tema, perché il momento per muoversi è adesso!
NFT o Non Fungible Token è un token — un oggetto digitale, o un gettone — che identifica qualcosa di non intercambiabile con un altro oggetto simile. Qualcosa di unico, insomma. Un NFT, in un mondo fatto di oggetti e transazioni digitali, si contrappone ai Fungible Token, categoria nella quale rientrano i Bitcoin, ad esempio. Mentre nel mondo Bitcoin ogni “token” — bitcoin —, è equivalente ad ogni altro (e quindi non è importante quale possedete, ma quanti), nel mondo degli NFT ogni token identifica qualcosa di unico e irripetibile e può essere quindi usato per supportare il concetto di proprietà dell’oggetto digitale sottostante.
PAUSA DI RIFLESSIONE 🤔 — Questo forse non è del tutto vero, perché scavando appena sotto la superficie si capisce che gli NFT non sono proprio così, nel senso che non esiste alcuna prova che io sia il vero proprietario di quanto ho “tokenizzato”. Se io prendo un file di digital art, lo metto in un NFT e lo vendo, chi dice che sia stato io a crearlo?
Ma facciamo un passo ulteriore:
Con il termine NFT si identifica uno “unique digital asset” la cui proprietà è conservata in una blockchain.
Oggi sentiamo parlare spesso di blockchain, come se fosse una tecnologia “assodata”. Chi non la conosce? Spesso fingiamo di capire, ma è arrivato il momento che il concetto sia chiaro a tutti coloro che vogliono fare startup.
In realtà, il concetto di blockchain è un concetto molto semplice presente da sempre nel mondo della programmazione e crittografia — almeno in linea di massima. Una sorta di segreto di pulcinella.
Una delle poche cose che come italiani ci hanno ripetuto fin da piccoli è che per capire il presente va compreso — e conosciuto — il passato. Questo oggi non si limita a quanto è avvenuto migliaia o milioni di anni fa, ma riguarda in maniera importante il passato recente, quello che ci tocca ancora oggi da vicino. Su quello io vi consiglio di concentrarvi. Bene, partiremo quindi da questo presupposto anche per la blockchain.
La blockchain
Come termine specifico risale a circa 40 anni fa e se ne trovano i primi riferimenti nel lavoro di uno scienziato ed esperto di crittografia, David Chaum. Era il 1982, gli anni nei quali sono usciti i primi personal computer, per intenderci, e Chaum fu il primo a proporre un blockchain protocol. Nel suo paper, facendo leva su crittografia, riservatezza delle informazioni e strutture dati, Chaum pone le basi per un sistema di archiviazione delle informazioni del quale ci si potesse intrinsecamente fidare, senza ricorrere ad una terza parte per certificare il tutto.
Cosa significa 🤷🏻♂️?
Beh, è molto semplice: come faccio ad essere certo che nel momento in cui memorizzo una qualsiasi informazione su un database, tale informazione non possa essere variata da alcuno? Che una volta scritta rimanga immutabile per sempre?
Chi di voi ha sviluppato del software nella vita sa bene che normalmente si scrivono programmi per limitare gli accessi ai dati, ma mediamente nessuno può impedire a chi ha le credenziali di amministrazione del sistema di fare “un po’ ciò che vuole”. Ci vorrebbe una struttura dati che fosse intrinsecamente immodificabile, come se ogni “blocco unitario” della base informativa fosse scrivibile in sequenza ed una sola volta, con la garanzia che una volta aggiunto in coda agli altri blocchi nulla fosse più modificabile.
Se esistesse un tale sistema, questi potrebbe essere utilizzato per memorizzare informazioni molto importanti, vitali per ognuno di noi e tenere traccia in modo insindacabile di un evento, di un oggetto, di una transazione finanziaria, di ogni accadimento importante della nostra vita.
Chaum, 13 anni dopo la pubblicazione del suo primo paper accademico su questo tema, ha sviluppato la versione primordiale di quello che possiamo definire “denaro digitale” o digital cash, proprio facendo leva sul concetto di blockchain di cui, a tutti gli effetti, è l’inventore.
Se ci pensiamo un secondo, la moneta coniata e stampata dalle banche centrali dei diversi stati nel mondo è il concetto perfetto a cui applicare questa invenzione. Da sempre gli Stati stampano su carta le proprie monete nazionali ed utilizzano meccanismi sempre più sofisticati per opporsi al rischio di contraffazione. Questo per secoli è stato l’unico modo che abbiamo conosciuto per disporre di monete con cui acquistare beni. Ma la carta moneta è una convenzione ed il fatto che oggi tutto passi dall’Internet, consente di inventare e adottare convenzioni diverse, più sicure e soprattutto che scavalchino gli intermediari. Già, sembra proprio che il maggior rischio sia quello di avere qualcuno che gestisce o conserva per noi i nostri asset.
Quante persone hanno perso i propri risparmi perché la banca nella quale erano depositati è andata a gambe all’aria? Quanti hanno perso tutto perché la moneta nazionale di un Paese ha subito una svalutazione improvvisa?
Questo accade proprio perché le monete sono gestite e agganciate alle sorti di un paese o di un’azienda, insomma al destino di un intermediario. Ma se ci pensiamo bene, tutto questo non è affatto necessario. In linea di principio, basta che gli asset da noi posseduti siano agganciati direttamente al loro proprietario, senza intermediari che possono fallire o agire in modo disonesto. Questo non vale solo per le monete, ma per i terreni, per le opere d’arte, le case, le auto, per tutto insomma. Oggi per certificare il passaggio di una proprietà da A a B dobbiamo andare da un notaio, a cui è dato il “potere” di certificare che la transazione è avvenuta regolarmente ed il bene è passato dal soggetto A al soggetto B. Ma questa è una convenzione — e neppure una delle migliori — che ha un’enormità di possibilità di avere delle anomalie, dei malfunzionamenti e delle manomissioni.
Bene, con Internet e la blockchain si ha per la prima volta la possibilità di ripensare tutto questo e di farlo senza che un’autorità o l’altra ci dicano come, senza che la politica o gli interessi di parte ci impongano la via.
PAUSA DI RIFLESSIONE 🤔 — Nel mondo delle crypto si usa dire: “not your keys, not your coin”, nel senso che se, come fa gran parte della gente, entriamo nel mondo delle crypto tramite Coinbase o Binance o Robinhood, in realtà stiamo proprio fidandoci di un intermediario e del suo “custodial wallet” nel quale sono immagazzinate le nostre crypto monete. In realtà quello che si dovrebbe fare è conservare le proprie cryptocurrency in un proprio wallet, slegato dal custodian — ente terzo. L’accesso al nostre crypto avviene tramite una chiave di cifratura 🔑 privata — qualcosa del tipo E9873D79C6D87DC0FB6A5778633389_SAMPLE_PRIVATE_KEY_F4453213303DA61F20BD67FC233AA33262 — che per essere sicura dovrebbe essere conosciuta solo da noi — e non da Coinbase o da alcun altro. In effetti è un controsenso: si entra nel mondo crypto per non essere regolati e governati dal “sistema” e poi si conservano le crypto valute in un luogo che regolato dal sistema sicuramente lo è 😁. Come si crea un proprio wallet? Qui mi fermo ✋; sarà sicuramente oggetto di approfondimenti futuri (appena anch’io avrò un mio wallet 😂).
Ma torniamo a bomba al tema di cui stavo parlando prima della digressione.
Ripensiamo al concetto di “convenzione universale”, come il denaro, mezzo con il quale accedo al possesso dei beni. Per rendere una convenzione una realtà di fatto basta che ci sia un consenso diffuso, che tale convenzione venga adottata gradualmente dalla massa. Ovvero, se sempre più soggetti decidono di dare valore a una data cosa, tale “cosa” acquista valore. Punto.
La connessione persistente alla rete di cui ognuno di noi oggi gode solamente per il fatto di possedere un cellulare ed un piano telefonico, ci rende sempre in grado di accedere a tutte le informazioni per noi importanti — ovviamente a patto che queste siano conservate in rete. Se a questo aggiungiamo il concetto di blockchain — la struttura dati — e blockchain protocol/s — i programmi che ne regolano il funzionamento —, allora il gioco è fatto.
Ma esiste ancora un problema. Mantenere le informazioni conservate in un unico luogo centrale, sui server di un’unica azienda, darebbe a tale soggetto il potere di dettarne le sorti e sarebbe in qualche modo un problema per sicurezza e accessibilità di tale dato in caso di malfunzionamenti.
Ecco perché la blockchain è tipicamente pubblica — visibile a tutti online — e distribuita. Le informazioni in essa raccolte non sono conservate in un solo luogo centrale, ma frammentate, distribuite e ridondate in migliaia o milioni di luoghi — server — nel mondo che si fasano l’uno con l’altro. Questo rende il meccanismo, se non a prova di bomba, decisamente più affidabile.
Come funziona la blockchain “sotto il cofano”
Scrivendo questo articolo ci siamo detti “ma perché non spiegare almeno per una volta qualcosa di minimamente tecnico?” ⚙️
In fondo, non c’è motivo per cui vi fidiate di noi e quindi abbiamo pensato di spendere qualche riga per spiegarvi come funziona una blockchain, tecnicamente parlando.
Come dice il nome è una “catena”, lunga a piacere, di blocchi di dati collegati l’uno all’altro tramite la crittografia. Supponiamo che la mia blockchain sia costituita da 3 blocchi di informazioni — 3 record — A, B e C; supponiamo inoltre che esista una funzione o un algoritmo al quale dato in ingresso il blocco di dati A di lunghezza variabile, produca sempre un il medesimo valore H(A) di lunghezza fissa — H è la funzione che trasforma A in qualcosa di diverso. Le funzioni a cui mi sto riferendo hanno però una caratteristica: disponendo del valore H(A), non posso risalire al valore originale di A. Questo tipo di algoritmi matematici si chiamo Cryptographic Hash Function — CHF — e sono sostanzialmente funzioni che lavorano in una sola direzione: dato un valore A fissato producono sempre lo stesso valore H(A) in uscita, ma non viceversa — non sono invertibili. Cambiando un solo bit nel valore A e chiamando questo nuovo blocco A1, allora H(A1) produrrà un valore diverso da H(A).
Vista in modo diverso, potremmo dire che H(A) è il valore cifrato di A espresso sempre con un numero prefissato di caratteri o bit. Ad esempio, questo è un buon modo per memorizzare una password — P — su un database, in quanto non scrivo mai la versione della password in chiaro — P, appunto —, ma bensì il suo hash value — H(P), appunto. Dato il valore H(P), non posso risalire ad P — la password —, ma avendo P posso sempre generare lo stesso hash value applicando la funzione H. Quindi un utente inserisce la password a video, io la prendo ne genero il valore hash e lo confronto con quello che ho su database. Se sono uguali, allora sono certo che l’utente è chi dice di essere e lo lascio accedere al sistema.
Questo non è un sistema “a prova di bomba”, ma diciamo che è molto difficile da crack-are.
Ora, i blocchi che compongono la blockchain, sono collegati nel senso che dati 3 blocchi — A, B e C — in sequenza, C contiene al suo interno il valore hash di B e B il valore hash di A. Quando leggiamo il contenuto della blockchain partendo da A avremo quindi sempre la possibilità di verificare che nessuno abbia variato nulla, perché ogni blocco contiene l’hash value del blocco precedente — e dato il valore del blocco precedente posso sempre verificare che non sia stato alterato confrontandolo con il valore hash contenuto nel blocco successivo.
Bitcoin: perché oggi si parla tanto di blockchain
Per chiudere questa parentesi sulla blockchain, basti sapere che il motivo per cui oggi se ne parla tanto è perché nel 2008 una persona — o gruppo di persone, non sappiamo chi sia in realtà — sotto il nome di Satoshi Nakamoto ha utilizzato la blockchain per memorizzare pubblicamente le transazioni della neonata cripto valuta — o cryptocurrency — Bitcoin. Nel 2009 il codice sorgente di Bitcoin è stato rilasciato in open source e lo trovate qui. Una comunità di centinaia, forse migliaia, di sviluppatori lo mantiene e ne decide le sorti in modo consensuale.
“… individuals or teams across the globe propose or initiate upgrades, which are subsequently peer-reviewed by hundreds of developers who are actively working on the Bitcoin project. The outcome of these reviews determines whether the implementations are accepted or rejected.”
Da quel lavoro, e dal successo che negli anni questa tecnologia ha avuto, sono nate migliaia di altre cripto valute. Tutte le cripto valute sono fungible token in quando ogni token è equivalente ad ogni altro — allo stesso modo che ogni moneta da 1 Euro ha lo stesso valore di ogni altra moneta da 1 Euro nel mondo.
La blockchain è anche conosciuta come digital distributed ledger.
Come sono nati gli NFT e perché?
All’inizio abbiamo detto che gli NFT o Non-Fungible Token sono unità di dati uniche, non intercambiabili e che vengono memorizzate su una blockchain. Se ad ognuno di questi blocchi di dati vengono associati dei file — o asset —, anche riproducibili, si ottiene de facto un certificato di autenticità. Se, ad esempio, mi faccio un selfie e trasformo la mia foto in un NFT, quello in qualche modo diventa l’unica versione originale della foto. Quindi, anche se la stessa foto può essere facilmente spedita o copiata in rete, io posso rimanere in possesso dell’unica originale avendola permanentemente associata ad un NFT. Posso venderla, scambiarla usando l’NFT associato — che diventa in qualche modo una prova di proprietà. La proprietà di quel NFT può essere verificata da chiunque guardando sulla blockchain pubblica dove è stata memorizzata.
Secondo Wikipedia, “Il primo ‘NFT’ conosciuto è stato creato da Kevin McCoy e Anil Dash nel maggio 2014, consistente in un videoclip realizzato dalla moglie di McCoy, Jennifer. McCoy ha registrato il video sulla blockchain di Namecoin e lo ha venduto a Dash per $ 4, durante una presentazione dal vivo per la conferenza Seven on Seven al New Museum di New York City”.
Ma è solamente negli ultimi 2 anni che la digital art è diventata il primo grande utilizzatore degli NFT e il mercato ha avuto una vera e propria esplosione.
Ad esempio, conoscete il progetto The Bored Ape Yacht Club?
È una collezione di 10.000 immagini di scimmie agganciate ad altrettanti NFT sulla blockchain Ethereum. Le scimmie sono state generate da programmi che, partendo da tratti caratteristici denominati digital DNA, hanno dato vita a un insieme limitato di personaggi come questi:
"The project’s name, Bored Ape Yacht Club, represents a club for people who got rich quick by 'aping in' — crypto slang for investing big in something unsure — and, thusly, are too bored to do anything but create memes," — Samantha Hissong su Rolling Stone.
Per quelli in acquisto (e non all’asta) il prezzo di base parte da 50 ETH — il simbolo di Ethereum — che alla valutazione di $3.150 ad ETH fa $157.500 a pezzo. Lo so che stentate a crederci, ma è così. E i prezzi continuano a salire.
Per dare un’occhiata a tutti i 10.000 art work di The Bored Ape basta collegarsi su OpenSea, il marketplace di NFT a cui sono agganciati.
Il 2021 è stato l’anno record e alcuni degli art work blindati in un NFT sono arrivati anche sul tavolo di case d’asta come Christy’s e Sotheby’s con valori fino a decine di milioni di dollari per un singolo art work:
“… as of today, the world's most expensive NFT artwork is still Beeple’s Everydays: The First 5,000 Days a collage consisting of 5,000 images measuring 21,069 x 21,069 pixels and bought at Christie's for over $69.3 million by a Singapore-based programmer.”
Date un’occhiata qui per farvi un’idea.
Vi chiederete… “cosa me ne faccio di un digital art work come questo?” Beh, lo potete esporre nei musei del metaverse, ad esempio, o vendere dopo qualche mese o tenerlo e vedere come va il mercato. Ma questo è un altro tema. La cosa importante è che anche l’arte digitale che da sempre è stata facilmente copiabile e condivisibile, oggi ha una via per capire chi la possiede tramite un NFT e ha quindi un mercato come pezzo originale unico.
Il mondo decentralizzato — come viene chiamato — nel quale non esiste più un organismo centrale che regola e guida, sembra aprire orizzonti nuovi, basta anche solo guardare quanti nuovi fondi verticali sulle crypto & C. stanno nascendo.
Ma attenzione: in un mondo decentralizzato non ci sono possibilità di rimediare a un errore; non esiste un modo per fare “annulla”. Ciò che è fatto è fatto e non ci si può fare nulla proprio perché non esiste un ente in grado di agire. Questo è un problema, che probabilmente troverà una soluzione nel futuro. Ma per ora è così:
“… on a truly decentralized and trustless network, those losses are also irreversible — because no one has the authority to do so.”
…quindi attenzione a dove conservate le vostre private key 😉.
Diciamo che le rapine in banca nel 2021 sono molto diverse da quelle che abbiamo conosciuto fino ad oggi, come testimonia questo tweet del founder e CEO di BitMart:
Solo digital art?
Assolutamente no.
Come mi ricorda il caro amico Francesco Sullo super esperto di blockchain, crypto e NFT — che rigrazio per la revisione di questo articolo:
“… un NFT può essere qualsiasi cosa, l'atto di proprietà di una casa, un potere di voto in una DAO, una chiave per autorizzare una guerra, una identità digitale, un contratto di qualsiasi tipo”.
Ed è proprio così. Lombardstreet Ventures ha ad esempio investito in Fabrica — guidata e co-fondata da Federico Pomi, la quale consente di gestire la compravendita di terreni — e prossimamente di abitazioni — direttamente sulla blockchain proprio tramite NFT:
Gli NFT possono avere diversi casi d’uso. Ad esempio, possono essere usati per consentire l’accesso a eventi e community esclusive. L’unicità e la non replicabilità di un NFT ne fanno un perfetto strumento per consentire l’accesso a tutto ciò che richiede un biglietto, un tessera di ingresso. Inoltre con il fatto che possono avere uno smart contract — qui ci torneremo con un nuovo articolo — agganciato e strutturato a piacere, ne fanno anche un veicolo perfetto per definire durata, accesso, condizioni varie, ecc. Ad esempio il progetto VeeFriends che consente l’accesso al progetto NFT di Gary Vaynerchuck. Lo stesso ha fatto Kevin Rose, com il suo Proof Collective:
Chiaro? Ci sarebbero tonnellate di cose da scrivere, ma state tranquilli che se ci torneremo e magari ne faremo anche una diretta con qualche esperto 👍
Is this hype real?
Vedremo, difficile a dirsi 🤷♀️ ancora.
Sicuramente oggi c’è una grossa eccitazione sul fronte NFT e si è aperta una nuova era nel mondo della rete. Sicuramente in giro c’è tanta speculazione e gente che intravede soldi facili; ma allo stesso tempo ci sono tanti progetti che stanno facendo da pionieri nel settore e letteralmente inventando nuovi mercati. In fondo è proprio questo che sta alla base del mondo delle startup: cogliere le potenzialità di una tecnologia ancora in forma embrionale e tradurla in qualcosa che la gente sia disposta ad utilizzare — e pagare. Se tanti seguiranno l’onda, allora ci si troverà agli albori di un nuovo mercato.
Un’ultima considerazione prima di chiudere questo articolo. Per capire quello che sta avvenendo nel settore degli NFT forse non basta studiare, ma occorre avere la possibilità di partecipare a qualche progetto per vedere quello che succede dall’interno. Oppure fare come Moxie Marlinspike fondatore di Signal, che dopo aver fatto i propri esperimenti condivide i propri dubbi in un post che ho trovato molto interessante.
Se qualcuno vuole raccontarci cosa sta facendo in questo settore può scriverci nei commenti, siamo super curiosi.
Vi ricordo che sono aperte le iscrizioni per il prossimo webinar delle Dojo Series dedicato al Pitching. La data fissata è il 26 gennaio e qui trovate tutti i dettagli.
Ringraziamenti. Un grazie particolare a Francesco Sullo, Head of Blockchain presso Syn City 🤙 per la revisione dell’articolo 😜.
Grazie Massimo per averci ricordato l’urgenza di inserirsi nel settore.
C’è un refuso nel testo qui: “ Per quelli in acquisto (e non all’asta) il prezzo di base parte da 50 ETH — il simbolo di Ethereum — che alla valutazione di $55.000 ad ETH fa $2.500.000 a pezzo.”
È il BTC che vale quelle cifre, ETH è sui 3000 $.
Come wallet fisico ti consiglio il diffusissimo Ledger Nano.
Qualche appunto a mente non-vincolata: nel mio modello di applicazione B2B, ho provato ad immaginare se lo sviluppo dell'applicativo stesso potesse beneficiare di una parte del business model trasformato in "community development". Ho intravisto che una DAO potrebbe interpretarlo. Ogni sviluppatore riceve un token per il microservizio che ha pubblicato e dal momento in cui il suo microservizio viene utilizzato dal cliente pagante, il suo token prende valore "convertibile". Il token garantisce che il merito di quell'output sia suo, fino a quando qualcuno non realizzi qualcosa di superiore che lo sostituisca (venga utilizzato di più).
Il cliente pagante avrebbe la possibilità di avere una infrastruttura modulare di servizi infinita e certificata. Nonostante il valore verrebbe diviso tra i servizi attivati, solo l'utilizzo effettivo trasferirebbe il valore al token.
Il detentore del token avrebbe la possibilità di mantenere il suo token, ovvero di attualizzarlo e scambiarlo all'interno di un mercato valutario.